Tra contrasti e sfumature alla ricerca di qualche rara certezza. Ispirandosi alla fotografia che "contiene quella presenza-assenza che rende le sirene così misteriose e affascinanti". M. Blanchot.
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martedì 19 marzo 2013
Il mare di Pérez-Reverte, nel suo nuovo libro
Si dice che il mare rappresenti l’inconscio, ma quando c’è di mezzo Arturo Pérez-Reverte, celebrato scrittore spagnolo, vincitore tra l’altro del premio fiorentino Vallombrosa, Gregor von Rezzori per il suo "Il pittore di battaglie", si può andare molto più lontano. Per molti anni inviato di guerra Reverte ha lasciato la professione dopo il conflitto dei Balcani. “Il corrispondente di guerra è scomparso. Ora questo lavoro lo fanno migliaia di anonimi testimoni con una telecamera e con internet.” Da allora ha pubblicato quindici romanzi, tra cui "Il giocatore occulto", ambientato durante l’assedio di Cadice del 1811 e "Il club Dumas" da cui Polanski ha tratto il film "La nona porta". Ci sono poi i sette volumi della serie del Capitano Alatriste, avventuriero vissuto nel ‘600, ai tempi d’oro della marineria spagnola, che tuttavia non raggiungono le vette di uno dei suoi ispiratori, l’irlandese Patrick O’Brian, autore (senza aver mai navigato) della straordinaria epopea del capitano Jack Aubrey, noto al pubblico per il film "Master and Commander".
I suoi libri ci portano l’oceano in casa, popolato da velieri e strani compagni d’avventura. La scrittura s’ispira al romanzo classico, i suoi modelli sono Stevenson, Conrad, Melville. Niente a che vedere con le storie che vanno tanto di moda oggi, scritte come telenovele da trasmettere in TV.
In una recente intervista Pérez-Reverte, nato a Cartagena in una famiglia di marinai e cresciuto tra i moli e i bar del porto, ha confidato a Giovanni Porzio, che con lui ha condiviso i rischi del reportage di guerra e la passione per la vela, le sue più intime convinzioni sul mare e sulla vita. Punto di partenza non poteva essere che una frase di Joseph Conrad: “La vera pace dell’uomo si trova a 100 miglia dalla costa più vicina.” Opinione avvalorata da una semplice consapevolezza. “Ho 60 anni e sulla precarietà della condizione umana non mi faccio illusioni. Il mare permette di osservare la terra con maggiore calma. Migliora la percezione del genere umano. Al mare non si può mentire… nel mare sei nudo.” Un vecchio detto dei marinai inglesi dice che sulle navi si sta a otto pollici (lo spessore del fasciame) dall’eternità.
Ed è questo che affascina Pérez-Reverte, in nessun altro luogo l’uomo si trova così intimamente vicino alla sua vera condizione esistenziale. “Ciò che più amo del mare è la sua indifferenza per le passioni e i sentimenti degli uomini. E’ crudele e ingiusto: una magnifica metafora dell’universo. Molto più sincero della terra ferma dove è più facile ingannare se stessi.” Navigare dona quindi una grande lucidità che “aiuta a vivere con intelligenza, ma produce terribili sofferenze, è al tempo stesso una medicina e una malattia.” Insegna anche a superare i “naufragi” quei momenti duri che prima o poi nella vita capitano a tutti.
Presentando il suo ultimo libro appena uscito in Italia, Le barche si perdono a terra
(Tropea, pag.336, €. 15,00) una raccolta di 96 scritti degli ultimi 20 anni che arriva fino al disastro della Concordia (di cui si è celebrato il 13 gennaio il primo anniversario) El Paìs ha scritto: “Questo libro si può riassumere in un’idea: siamo fatti della stessa materia, dello stesso sale e della stessa acqua di cui è fatto questo mare stanco, sul quale navigano i nostri sogni, le nostre paure, le nostre guerre e le nostre mercanzie, le nostre parole e la nostra memoria, dal tempo in cui un bardo cieco chiamato Omero inventò gli eroi… Senza uomini liberi e senza barche non esisterebbe la letteratura.”
Neri Fadigati, gennaio 2013
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