Su YouTube si trovano drammatici filmati amatoriali sulle violenze in Libia. Mercenari che sparano sulla folla, strade in fiamme. Ci dobbiamo aspettare l’arrivo di un’ondata di profughi da tutto il nord Africa. E come se niente fosse i politici in TV continuano a polemizzare su chi è più amico di Gheddafi, B. o D’Alema.
Quelli di destra non battono ciglio davanti allo scempio dei loro valori tradizionali, legalità e senso delle istituzioni. Per fortuna i miei nonni e mio padre (tutti conservatori) non hanno visto il dittatore arrivare a Roma con la foto di Omar al Mukhtar appiccicata come una patacca sul petto e il baciamano fuori dalla tenda da circo Barnum. Passo metà del mio tempo con studenti universitari americani, come posso spiegarli che i consulenti per la riforma della giustizia del primo ministro sono i suoi stessi avvocati. E che le ripetute telefonate con ragazze minorenni e prostitute non sono un motivo sufficente per dimettersi (non c’entra la morale è una elementare prassi politica in tutte le democrazie).
Dall’altro lato ho sentito persone di sinistra esprimere dubbi sul monologo di Benigni a Sanremo, troppo patriottico, il nazionalismo è pericoloso. Ma quando mai l’Italia è stato un paese nazionalista. Lasciamo perdere la retorica fasulla del fascismo che mandava i soldati a morire con le scarpe di cartone. Qui non si è mai formata, un’identità nazionale. Il senso di appartenenza a una comunità che porta con sé la voglia di agire per il bene comune. Si guarda al Risorgimento con diffidenza senza collocarlo nella sua epoca. A noi è mancato un passaggio. Come se gli Stati Uniti o la Francia non avessero combattuto per l’indipendenza e per la giustizia sociale. Si cercano sempre i distinguo. Come se i partigiani non avessero avuto a cuore il bene generale del paese. Sacco e Vanzetti erano anarchici, ma orgogliosi di essere italiani. Il 17 marzo dovrebbe essere festa nazionale da sempre.
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