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mercoledì 30 marzo 2011

Ill fares the land

Guasto è il mondo... la ricchezza si accumula e gli uomini vanno in rovina,
scriveva Oliver Goldsmith nel 1770. All’epoca in Inghilterra i privati esigevano le tasse, gestivano la sicurezza, arrestavano colpevoli o presunti tali. Naturalmente la legge non era uguale per tutti. Poi ci furono, l’indipendenza americana, la rivoluzione francese e quella industriale. La fine dello schiavismo e del lavoro minorile, la presa del palazzo d’inverno. La grande depressione e il New Deal, il voto alle donne, scolarizzazione, assistenza sanitaria e intervento pubblico nell’economia.
Adesso a duecento anni di distanza ci vogliono far credere che privato è bello.
Si, per chi lo gestisce. Ma dolorosissimo per tutti gli altri, come dimostrano le vicende degli ultimi anni. Lo storico Tony Judt, con grande capacità di sintesi spiega il paradosso dei nuovi liberisti in un libro che tutti dovrebbero leggere. Una specie di lascito apparso lo scorso anno poco prima della sua morte e ora tradotto in italiano (T. Judt, Guasto è il mondo, Laterza).
La svolta parte da lontano, da un gruppo di economisti approdati in America per sfuggire al nazismo, animati  da lodevoli intenzioni, ma apparentemente ignari di quanto era successo negli USA mentre in Europa trionfavano le dittature. Ispirati alle loro teorie i Chicago boys di Milton Friedman diventano i teorici della nuova destra politica, la Thatcher e Regan. In quarant’anni si distruggono due secoli di conquiste sociali, spesso con il beneplacito dei partiti socialdemocratici. Anche la generazione del ’68 viene strapazzata. L’eccesso di individualismo ha pervaso la società mettendo in discussione conquiste costate decenni di lotte. Il posto fisso allora rifiutato in nome di libertà e realizzazione personale, è oggi il sogno dei giovani precari. Due numeri per sfatare il mito della ricchezza per tutti. Le privatizzazioni in Gran Bretagna hanno trasferito dalle casse dello Stato ai privati 17 miliardi di sterline. Nel 1994 la società pubblica delle Ferrovie costava al contribuente 950 milioni, nel 2008 quella semiprivata 5 miliardi. E io pago diceva Totò, non per il baraccone collettivo, peggio, per arricchire i furbi.

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